DOMENICA 26 MAGGIO 2019 ORE 18:00
Domenica 26 maggio alle ore 18.00 la Galleria Nicola Pedana è lieta di inaugurare Montefantasma, la prima personale di Sabrina Casadei (Roma, 1985) presentata negli spazi della galleria. La mostra è accompagnata da un testo critico di Chiara Pirozzi ed è visitabile fino al 20 luglio 2019.
Sabrina Casadei presenta un ciclo di lavori inediti che descrivono un percorso di ricerca avviato durante la residenza nel centro artistico NES di Skagaströnd in Islanda. L’artista muove le fila dall’immaginario sublime che nella storia dell’arte avvolge il tema del paesaggio nordico per tradurlo in visioni pittoriche astratte e minuziose, in cui la natura biomorfa del segno migra costantemente verso la descrizione di realtà trasognate e fantastiche.
Montefantasma raccoglie dipinti e installazioni di medio e grande formato che invitano lo spettatore a muoversi nello spazio, ciascuno con il suo tempo e ritmo, alla ricerca di una personale esperienza all’interno dell’immaginario proposto dall’artista; un paradigma visivo in grado di estraniare il familiare, raggiungendo così il perturbante.
La tavolozza cromatica scelta da Sabrina Casadei fonde sulla stessa tela note fredde e temi caldi come fossero correnti d’aria che si compenetrano alla ricerca dell’equilibrio termico; la medesima condizione di stato fisico è cercata e raggiunta dall’artista nella relazione con i luoghi ospitanti, che la conduce verso la realizzazione di opere che sono il frutto della descrizione psichica del paesaggio.
L’attrazione per l’ignoto unito a uno sguardo meravigliato sono i comuni denominatori dell’esperienza visuale proposta da Sabrina Casadei, che giunge alla creazione di immagini in cui il dato figurativo si perde al fine di sedimentarsi in forme lunari e marine, crateri e concrezioni, in continua compenetrazione. La pittura di Sabrina Casadei si muove, dunque, con gesti lenti e meditati in grado di creare texture fitte e materiche, generando un tratto filamentoso che descrivere micro e macro-universi, ricami artigianali o frattali naturali.
Montefantasma è il racconto di terre appena emerse o di paesaggi mentali nati dalla relazione fra il corpo dell’uomo e il corpo-natura in cui è la percezione climatica a scandire colori, flussi e innesti.
Sabrina Casadei nasce a Roma nel 1985 dove vive e lavora. Nel 2009 si laurea nella cattedra di Pittura all’Accademia di Belle Arti di Roma. Successivamente si trasferisce a Berlino; ora si muove spesso fuori dall’Italia tramite programmi di residenze artistiche. Espone in mostre e fiere nazionali e internazionali, tra cui: 2019 Art Paris Art Fair, Grand Palais, Parigi, Francia; 2018 Selvatico (tredici) Fantasia – Fantasma, Palazzo Sforza, Cotignola (RA); No old thing under the sun (Solo), Eduardo Secci Contemporary, Firenze; MAPS, Societa’ Geografica Italiana, Villa Celimontana, Roma; UNTITLED Art Fair, San Francisco, Usa; 2017 Terre Emerse (Solo), Francesca Antonini Arte Contemporanea, Roma; Invisibili Connessioni – Punctum, Archivio Storico e Museo Italgas, Torino; Malerbe, Istituto di Cultura Austriaco, Roma; Landina, CARS, Omegna (VB); 2016 A Thousand Miles away-Residenze #2 (Solo), AlbumArte, Roma; Bølge (Solo), NKD, Dale Sunnfjord, Norvegia. Residenze: 2019 NES Artist Residency, Skagastrond, Islanda; 2017 Rotes Haus, Artist in residence Kunstsommer Moritzburg, Germania; 2016 NKD, Nordic Artists’ Centre Dale, Dale, Norvegia; 2014 Le CouveNt Artist in Residence, Le CouveNt, Auzits, Francia.
In occasione della mostra, verrà realizzato un catalogo, con un testo del collezionista Massimo Lauro
Una stanza buia, una penombra, un ambiente suggestivo all’interno del quale ci immergiamo. Qualcosa è illuminato all’interno, sulla destra un dipinto inclinato dal basso verso l’alto, come a indicare una direzione: l’inizio di un viaggio. È il viaggio che Paolo Bini fa intraprendere al visitatore una volta che il suo corpo viene inglobato all’interno della bellissima Cappella dell’Incoronazione del Riso, Museo regionale d’arte contemporanea della Sicilia.
Un viaggio che si sviluppa spazialmente – il percorso fisico della mostra – ma anche temporalmente – su una stratificazione temporale che dall’oggi ci collega direttamente alla storia, alle radici, di un luogo simbolico come il mediterraneo.
Concentrandoci un po’ ci rendiamo conto che l’opera sulla destra ha una natura ondulata “Mediterraneo con riflessi oro”, la superficie è rappresentata da leggere onde di sfumature di bianco e oro, frutto di una tecnica in via di sperimentazione dall’artista. E’ proprio su queste onde che il nostro occhio inizia la sua navigazione in un ambiente che l’artista ha meditato dopo un lungo studio della città e della sua terra.
Quella di Bini è un’installazione che va osservata come una entità unica, un ambiente: un’opera creata appositamente per quel particolare luogo che è la Cappella dell’Incoronazione. Un luogo molto suggestivo ed estremamente caratteristico – nel senso di “pieno di carattere” – e intenso, opposto alla superficie piana, primaria, del white cube. Se lo spazio del white cube è uno spazio primario, un “grado zero” disposto ad accogliere qualsiasi possibilità, nel quale tutti i segni e tutte le opere sono possibili, quello della Cappella è invece uno spazio pieno, nel quale tanti, molti, segni sono stati presenti, nella sua storia, nei passaggi temporali umani e corporei che lo hanno determinato.
Non è facile confrontarsi con uno spazio del genere, non si possono semplicemente posizionare delle opere, lo spazio va vissuto, sentito, odorato, in un confronto e scontro di rispetto e aggressività.
E così il moto ondulato dell’opera iniziale è ripreso con il colore rosso nella seconda grande opera posta nei pressi dell’abside. L’occhio naviga tra le onde di un mare simbolico composto di sfumature di colore tra il rosso e l’oro. Sfumature di rosso, di oro, di giallo, che si fanno di volta in volta più o meno rosee. Sfumature, come sfumato è il nostro tentativo di coglierle in una rappresentazione. Un mare, un cielo, la terra? Non sappiamo. Sappiamo solo che esse sono in movimento, vibrano sui nostri occhi proprio come l’acqua riflessa dalla luce quando guardiamo il mare.
Questo è l’invito dell’artista: guardare le due opere con un movimento diagonale, una inclinazione visiva che detta un cammino. Si scende, ancora, nella parte sotto della cripta dove Bini ha realizzato due opere pittoriche, due installazioni come sostegni attraversabili, oltre i quali si intravede un dipinto che apre una finestra sul tema sul sogno.
Un viaggio quello dello spettatore che si tramuta in naufragio nel percorso in apparenza lineare proposto dall’artista, accompagnato, sin dall’inizio del suo processo, da un riferimento , quella dell’immagine del dipinto di Thèodore Gèricault, “La zattera della Medusa” del 1819. Il grande stimolo dato dal celebre dipinto è quello dell’infinito tentativo di cogliere e di capire cosa si cela dietro quel rapporto terra-mare, mediterraneo-Sicilia. Un rapporto stratificato che pone le proprie basi sull’idea di intreccio di culture, di razze, di architetture, di storie, di dominazioni, all’interno del quale il mare – il mediterraneo nella sua valenza fisica e simbolica – acquisisce un’importanza particolare.
Bini riscrive uno spazio espositivo, già intriso di stratificazioni culturali (cattoliche, normanne, saracene, ecc.) utilizzando il materiale simbolico di due colori e di tutte le loro sfumature.
Il rosso della vegetazione, degli alberi, delle foglie, della terra Siciliana, di Palermo; il rosso della simbologia orientale, ma anche il rosso del sangue che macchia il mar mediterraneo dai tempi dei tempi. Un rosso che si ribalta nel suo opposto concettuale, l’oro del misticismo, del mistero. Non è un caso che a inspirare il colore oro all’artista sia stato il Duomo Di Monreale, uno dei principali esempi di arte bizantina. E non è un caso, ancora, che a caratterizzare l’arte bizantina, e il Duomo, sia proprio l’oro, dove questo sta a indicare la porta di collegamento con la divinità, il mistero, la fede.
Il viaggio che noi come spettatori intraprendiamo una volta entrati nello spazio espositivo è, in realtà, un naufragio. Il naufragio della ragione, il naufragio dei sensi, il naufragio di categorie applicate troppo facilmente a culture che non conosciamo. Immergersi in questo naufragio vorrebbe dire ritrovare quel rapporto con la conoscenza che troppo spesso perdiamo e che l’arte, forse, ancora può farci toccare.
FORMAZIONE
2002 – 2007
RESIDENZE
2010 – Museo San Francisco de Asys, Havana, Cuba, a cura del Centro Di Sarro;
OPERE IN COLLEZIONI PUBBLICHE
Fondazione Donna Regina Museo MADRE, Napoli, Italia
Varie collezioni private internazionali
MOSTRE PERSONALI
2018
Mediterraneo rosso e oro, a cura di Valentino Catricalà, Cappella dell’Incoronata, Museo Riso, Palermo, Italia
2016
Left Behind, a cura di Luca Beatrice, Reggia di Caserta, Caserta, Italia
2015
2014
2013
2011
2010
2009
Paolo Bini, a cura di Massimo Bignardi, Centro Documentazione Ricerca Artistica Contemporanea Luigi Di Sarro, Roma, Italia
2008
MOSTRE COLLETTIVE
2018
Incontri, Ex Chiesa dell’Annunziata, Teano, Caserta, Italia
2017
Spectrum, CIRCA Gallery, Johannesburg, Sudafrica
Geometrie e colori, a cura di Massimo Bignardi, Pinacoteca Provinciale, Salerno, Italia
2016
Beyond, a cura di Valerio Dehò, Art Forum, Bologna, Italia
2015
2014
2013
2012
2011
2010
2009
2008
2007
2005
La mostra, a cura di Alessandra Troncone, prevede la realizzazione di un wall drawing su uno dei muri della galleria utilizzando la tecnica della “pittura a scomparsa” (vanishing painting) per dar vita a figure che appaiono e scompaiono alla vista grazie a una particolare tecnica messa a punto dall’artista che prevede l’abrasione diretta su tavola o parete di strati successivi di colore, poi interamente nascosti dal bianco. Montani lascia dunque emergere le figure per poi ricoprirle di nuovo; il processo viene completato dalla presenza di un nebulizzatore d’acqua che, irrorando la superficie del muro, permette la loro “riemersione” e poi successiva “sparizione”, una volta asciugatasi la superficie. La realizzazione del wall drawing sarà accompagnata dall’esposizione di altre opere tutte facenti parte di questo ultimo ciclo nel quale l’artista per la prima volta si concentra sullo studio della figura umana, riflettendo sui temi della visione, della memoria e della transitorietà.
Nel corso della sua carriera ha collaborato in maniera continuativa con la Galleria L’Attico di Fabio Sargentini (2005/2017), esponendo anche con altre gallerie quali Marilena Bonomo a Bari, Sergio Casoli a Milano, Valentina Bonomo a Roma, Otto Gallery a Bologna e Luca Tommasi Arte Contemporanea.
Nel 2001 è vincitore del XL Premio Suzzara. Nel 2008 partecipa alla Quadriennale di Roma e tiene la sua prima mostra museale al MAR di Ravenna. Del 2011 è la sua prima mostra personale all’estero al Museum Am Dom di Wuerzburg in Germania, città che ospita anche una sua grande opera all’interno del Duomo. Nel 2013 è vincitore del premio speciale Orenio Michetti. Espone a New York nel 2010 e nel 2016, presso la Elkon Gallery. Nel 2015, a seguito della mostra personale Andarseneal Museo Andersen di Roma, la Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea acquisisce una sua opera sperimentale: una scultura che, sciogliendosi, diventa un’opera bidimensionale.
Sue opere si trovano in prestigiose collezioni quali la Collezione Artefiera di Bologna, la collezione Unicredit e la collezione Vaf, oltre che in importanti collezioni private in Europa e negli Stati Uniti.
Cosa si nasconde nel certo di un senso infinito?
Certo come certezza o, al contrario, come modo in(de)finito e vago di esprimere un significato?
E senso allude all’aspetto sensibile dell’esperienza, quello appunto dei sensi, o al significato, alla direzione? Come se esistesse un senso dell’infinito, una direzione infinita?
Tutto dipenderà appunto da come interpreteremo l’infinito compreso nel titolo. Concetto di per sé impensabile nella sua interezza, proprio perché senza fine e quindi senza limiti per esseri finiti e limitati come noi, l’infinito lo possiamo solo dire o scrivere, simboleggiare (∞), avviare in sequenze numeriche (1…3…5…7…11…13…), ma mai fisicamente contenere.
Vittorio Messina è un artista a cui piace sfidare inafferrabili e sottili inquietudini, praticando installazioni che vogliono spingersi oltre la loro pur oggettiva materialità costruttiva. Le sue opere sono tentativi di uscire dalla gabbia del pensiero razionale, dalle ovvietà dei dati sensibili, dai dogmatismi del trascendente, anzi ambiscono in un certo senso a fondere razionalità-sensibilità-metafisica nell’opera d’arte.
Oltre la metafora, oltre l’analogia, forse l’opera di Vittorio Messina è da sempre in cerca di un’estetica basata proprio sull’in un certo senso, essenza stessa dell’Arte, che è a sua volta un concetto inafferrabile, non delimitabile, illimitato.
Ovvero, in un certo senso, infinito.
Testo di Marco Tonello